Sto leggendo l'ultimo romanzo di Stephen King,
The Dome. Un bel malloppone di oltre mille pagine, quei libri che spaventano ma che poi sono della dimensione giusta se vuoi sentirti trasportato per un periodo significativo in un altro luogo. Un romanzo breve non ti dà il tempo di adattarti, non riesci mai veramente a dimenticarti che stai solo leggendo un libro.
Nella mia vita di libri over mille ne ho letti abbastanza (una decina, credo, che in questo caso può considerarsi abbastanza) e molti di essi stanno stabilmente nella mia top-ten di sempre, tipo
It e
L'ombra dello scorpione, sempre del nostro, o
I pilastri della terra di Ken Follett, o
Il Signore degli Anelli di Tolkien.
Questo rischia seriamente di aggiungersi alla collezione, nonostante sia di nuovo di King e siamo alla fine del 2009, ossia di un decennio in cui il re non ha prodotto nulla di buono, salvo qualche sporadica eccezione. Ma qui sembra tornato quello di un tempo, almeno a giudicare dalle prime duecento e passa pagine. In questo libro scrive da dio, più che da re, e coinvolge come non riusciva più a fare da un bel pezzo. Un King così io lo leggerei all'infinito, altro che per mille pagine.
Ecco dunque, anche se in ritardo, una bella letterina a Gesù bambino, che a quest'ora avrà digerito quella dell'onorevole Di Pietro. Io ho un desiderio molto piccolo:
"caro Gesù bambino, fa che questo romanzo non si perda per strada, che rimanga su questo livello fino alla fine, e che magari abbia anche un bel finale."
Se così non fosse, sarebbe un grosso grosso peccato.
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