appunti

Il viaggio inizia con un racconto di qualche anno fa, che racchiudeva un’idea probabilmente abbastanza buona per diventare un buon thriller fantascientifico, una storia ricca di colpi scena, di personaggi strani, di un ritmo a tratti frenetico, di un finale del tutto imprevedibile. Di quelli, insomma, che il lettore divora

lunedì 26 maggio 2008

Dispersione

Maggiordomo del Copacabama: Ce ne stiamo fregando della trama, signore?
Tom: Precisamente. Ognuno per sé e Dio per tutti.
Maggiordomo: Allora non porto più la gente ai tavoli, posso fare quello che ho sempre sognato di fare! [Si mette a ballare il tip tap]

Woody Allen, La rosa purpurea del Cairo

Mi metto a scrivere.
Ma non perché me ne frego della trama, diciamo che finalmente quella è andata (quasi) a posto. So come inizia il romanzo, so come finisce, conosco le cose importanti che devono succedere nel mezzo, e soprattutto conosco quanto basta i personaggi principali.
La scaletta non è affatto finita, ma ho bisogno di capire, con gli elementi che ho, quanto è solida la via che voglio prendere. Perché un conto è avere le scene in testa, un altro è trasformarle in scrittura.
Per sapere se i personaggi saranno davvero come li voglio, devo prima capire se sono capace di renderli tali. Il processo "dalla testa alla carta" è SEMPRE un impoverimento. Un po' come il motore che consuma benzina e non riesce mai a farla rendere al 100% (con quello che costa!).
La dispersione è una variabile importante, bisogna essere bravi a farla tendere a zero. Dopo il primo capitolo saprò se il risultato è soddisfacente o se sarà il caso di tornare nella testa a moderare gli entusiasmi

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venerdì 9 maggio 2008

Ruggiti e coriandoli
Nella mia macchina c'è un quadernino a quadretti. Ci sono un po' di appunti sparsi sul romanzo. Scrivo lì quando sono in coda e ultimamente è capitato spesso. Una lista lunga di possibili nomi di personaggi, incroci strani. Ho deciso che il mio protagonista si chiamerà Leone, ancora non so se di nome o di cognome, più probabile il secondo.
Sulla scrivania, invece, ci sono diversi fogli sparsi. Pieni di appunti pure loro, molti dei quali sono più o meno gli stessi del quaderno in macchina. Quasi, perché a dire il vero contengono versioni simili degli stessi episodi che ho in testa, in alcuni casi varianti.
Questa è la fase dei coriandoli. Appunti su appunti, tutti brevissimi, la maggior parte dei quali con un bel punto interrogativo alla fine. Ma la storia sta prendendo un verso che mi piace, gli ingranaggi ruotano e i dentelli sembrano incastrarsi come dovrebbero. Più la nebbia si dirada e più capisco che sarà difficilissimo, ma che sarà.
Intanto prosegue la lettura di "Il mostro", il saggione di Michele Giuttari che mi sta piacendo un bel po' e che mi sarà di grande aiuto per quello che dovrò fare. Non credevo che le vicende legate al mostro di Firenze potessero essere così interessanti. L'avevo comprato per documentarmi, per capire qualcosa su come lavora la polizia a Firenze, pronto ad annoiarmi a morte. E invece è una lettura avvincente.

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domenica 4 maggio 2008

Le storie dei nonni
Quand'ero caporedattore della Writers Magazine Italia ho scritto una serie di articoli sul "prima di scrivere", ponendo l'accento sulla necessità di costruire una scaletta e tenerla sempre aggiornata. Di considerarla l'anima che nasce prima dell'inizio della stesura di un romanzo e muore il giorno prima di consegnare la bozza definitiva all'editore. E' un talismano importantissimo, dicevo, da tenere sempre con sé. Una guida, una bussola per orientarsi nel nuovo mondo che si sta formando.
La penso ancora così.
Ciò su cui non mi sono potuto dilungare (cosa che ha finito per generare scontri con gli "illuminati" che si mettono di fronte alla pagina bianca e iniziano a scrivere convinti che la storia saprà condurli fino alla fine da sola) sono i modi infiniti con cui una scaletta può essere organizzata. Sembrava volessi far passare il concetto che scrivere un romanzo fosse un lavoro da ingegneri, che si dovesse pianificare in anticipo fino all'ultima virgola e che scrivere fosse soltanto un lavoro necessario ma privo di ingegno. Qualcosa che, a fronte di una scaletta fatta bene, potesse essere quasi appaltato a uno scribacchino per conto terzi.
Ovviamente non è così e mi dispiace che qualcuno possa averlo pensato.
In questi mesi di blog in cui sembra che non abbia fatto gran che, se non scrivere tre paginette di prologo (tra l'altro sistemando un lavoro già fatto in passato) in realtà ho lavorato moltissimo.
Sto sperimentando un metodo affascinante di cui mi ha parlato per la prima volta Gianpaolo Simi (se non lo conoscete, vi consiglio di leggere almeno "Il buio sotto la candela"). Lui mi diceva di avere un rapporto strano con le scalette, e che il modo di gestirle variava in funzione del tipo di storia da raccontare. In alcuni casi trovava necessario fare schemi rigidi per incastrare bene certe sottotrame, in altri poteva permettersi molta più elasticità, l'importante era aver chiaro dove si voleva andare a finire.
L'imperativo è: prendersi il tempo necessario, se non altro per eliminare tutti i vicoli ciechi dentro cui rischi di finire senza un obiettivo ben definito.
Fare una scaletta significa anche buttare via l'eccesso delle possibilità che una storia potenzialmente offre, un po' come faceva Michelangelo con il suo blocco di marmo.
Fare una scaletta significa anche un'altra cosa, importantissima: imparare la storia, entrarci in confidenza, farla girare in testa fino a quando si confonde con i ricordi. Infilarla nella memoria come un'esperienza veramente vissuta. Ricordi anche frammentati, privi di certi dettagli, ma in cui ci sono un inizio e una fine ben delineati e certi. Poi raccontarla diventa qualcosa di diverso da scrivere un libro, diventa una specie d'incanto, come quando da piccoli certe storie ce le raccontavano i nonni. Parlavano di cosa gli era successo da giovani, e infarcivano i racconti di particolari (che cambiavano ogni volta), di meraviglia. Attingevano ai ricordi e poi intrattenevano per ore.
Ecco, tanto per chiarire una volta per tutte che nel fare una scaletta, qualsiasi cosa sia alla fine, non c'è niente di così poco poetico.

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